la fede religiosa è una malattia mentale

“Né nella mia vita privata, né nei miei scritti”, disse Sigmund Freud in una lettera scritta nel 1938 a Charles Singer, “ho mai fatto segreto di essere un estremo miscredente”. In effetti scrisse, poi, a Marie Bonaparte: “Mi considero uno dei più pericolosi nemici della religione”.

Egli era chiaramente ossessionato dalla religione, trattandone più volte in libri quali “Totem e Tabù” (1913), “L’avvenire di un’illusione” (1927), “Il disagio della civiltà” (1930) e “Mosè e il monoteismo” (1938), confrontando le “illusioni di un desiderio religioso” ad una felice confusione allucinatoria, gli “insegnamenti religiosi” a delle necrotiche reliquie e la stessa “religione” ad una nevrosi universale ossessiva compulsiva, una “nevrosi infantile”.

E questo tema della fede religiosa come difetto psicologico, come malattia della mente, resta popolare tra gli atei moderni. “La fede religiosa” dichiara Richard Dawkins in “Il gene egoista” (1976) “mi sembra qualificarsi come una sorta di malattia mentale”.

“E’ difficile immaginare un insieme di credenze più suggestive della malattia mentale” concorda Sam Harris nel suo bestseller del 2004 “La fine della fede”, “confrontandole con quelle che sono alla base di molte delle nostre tradizioni religiose”.

Quindi le persone religiose sono, per definizione, “malate”? Malate di mente? L’ateismo è più sano della fede religiosa?

Per quattro decenni Armand Nicheli, professore di psichiatria alla Harvard Medical School ed editore e coautore della “Guida alla psichiatria di Harvard”, ha insegnato un corso all’Harvard College e alla Harvard Medical School, che si è concentrato su Freud e il grande scrittore cristiano C.S. Lewis.

Anche se, in realtà, i due non si sono mai incontrati (Freud è morto nel 1939 all’età di 83 anni, mentre Lewis è morto a 64 nel 1963), Nicholi li mette a confronto e li fa dialogare l’uno con l’altro (non è un gesto così arbitrario come potrebbe sembrare: Lewis, ateo per metà della sua vita, era ben consapevole degli scritti di Freud).

Nel 2002, sulla base di quel corso, Nicheli ha pubblicato “La questione di Dio: C.S. Lewis e Sigmund Freud dibattono su Dio, sull’amore, sul sesso e sul senso della vita”. E’ uno studio affascinante e si potrebbe facilmente argomentare che Lewis abbia avuto una vita più sana e più felice di quanto abbia fatto Freud.

Harold Koenig, uno psichiatra presso la facoltà della Duke University, lo ha affermato tramite pubblicazioni quali “La religione fa bene alla salute? Gli effetti della religione sulla salute fisica e mentale” (1997), con il suo “Manuale di religione e salute mentale” (1998) e con la sua direzione della pubblicazione del “Manuale di religione e salute” (2012) di Oxford, in qualità di autorità della zona.

Lui e i suoi collaboratori sostengono che il coinvolgimento religioso è correlato ad una migliore salute mentale nelle aree di depressione, di abuso di sostanze e di suicidio e, con meno certezza, con un migliore risultato nel trattamento dei disturbi legati allo stress e alla demenza.

Inoltre, secondo Tyler VanderWeele, professore di epidemiologia alla Harvard University, una recente ricerca pubblicata da lui stesso e dai suoi colleghi, nel Giornale dell’Associazione Medica Americana di Medicina Interna e Psichiatria, conferma i legami che una precedente indagine scientifica aveva identificato tra la partecipazione alle funzioni religiose e una maggiore salute.

La presenza regolare è associata, per esempio, ad “una riduzione di circa il 30 per cento della mortalità dei giovani sopra i 16 anni, di una riduzione di cinque volte della probabilità di suicidio ed una riduzione del 30 per cento dell’incidenza della depressione”.

VanderWeele ha scritto l’articolo “La partecipazione religiosa contribuisce alla prosperità umana?” sul sito bigquestionsonline.com.

Ma i benefici apparenti non finiscono qui: la partecipazione regolare al culto religioso sembra essere associata ad una “maggiore probabilità di rapporti sociali sani e matrimoni stabili; un maggiore senso della vita; maggiore soddisfazione dalla vita; un’espansione della propria rete sociale; più beneficenza, volontariato e impegno civico” ha scritto VanderWeele.

Si potrebbe forse concludere che è il sostegno sociale offerto dalla partecipazione religiosa che conferisce tali benefici. VanderWeele, comunque, dice che il sostegno sociale sia circa il 20-30 per cento dei risultati misurati.

L’autodisciplina incoraggiata dalla fede religiosa e la visione ottimista del mondo, supportano importanti fattori che contribuiscono alla salute fisica e alla longevità.

Naturalmente, niente di tutto questo dimostra che le affermazioni della religione siano vere. Ma suggeriscono fortemente che la fede religiosa non sia una malattia e che, almeno su questo punto, Freud ed i suoi seguaci si sono sbagliati.

Come si legge nelle promesse di Isaia 40:31: “quelli che sperano nel Signore riacquistano la loro forza; essi si alzano in volo come aquile; corrono e non sono stanchi; camminano e non vengono meno”.

Questo articolo è stato scritto da Daniel Peterson e pubblicato sul sito deseretnews.com. Questo articolo è stato tradotto da Cinzia Galasso.

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Cinzia

Cinzia è un'impiegata ed una traduttrice. Ha una laurea in Scienze dell'Educazione e ha anche insegnato, per un paio di anni, a bambini della scuola materna, un lavoro che ha amato molto. E' stata un'insegnante nelle classi della Società di Soccorso, delle Giovani Donne e dell'Istituto. Ha molti interessi: patchwork, quilling, oli essenziali. Le piace prendersi cura di sè con soluzioni naturali. E' vegana e ama gli animali e la natura ed è fermamente convinta che le creazioni di Dio siano sacre. E' una volontaria dell'ENPA, un'associazione italiana, per la protezione degli animali ed è anche un membro di Greenpeace e del WWF. Ama passare il tempo con la sua famiglia e i suoi amici. Ama il vangelo di Gesù Cristo e sa che le famiglie sono eterne.

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