felicità

L’ultima ricerca scientifica sulla felicità sostiene e convalida il piano di felicità di Dio. Continuate a leggere per scoprire quali siano i seguenti 3 punti riguardanti la felicità e come facciano riferimento al Vangelo e al piano di Dio per noi.

Durante l’ultimo decennio, i progressi in tutti i campi della ricerca scientifica sono stati davvero notevoli. Con lo sviluppo di apparecchiature che fanno vedere le immagini cerebrali, gli scienziati sono stati in grado di determinare quali parti del cervello controllano alcune delle nostre emozioni o risposte.

Sembra che il “centro della felicità” del cervello si trovi nel quadrante in avanti a destra. Questa conoscenza, insieme con gli studi di ricerca condotti nel corso di un lungo periodo di tempo, ha permesso ai ricercatori di avere un ragionevolmente buona idea su cosa non sia la felicità e su cosa, invece, essa sia. I risultati rafforzano ciò che intuitivamente percepiamo.

So che questo può allarmare alcuni scienziati, ma tali risultati suonano come se fossero presi direttamente dalle parole di Dio e dal Suo piano del Vangelo.

Il Piano di Dio

La ricerca ci dice che la felicità nel piano di Dio non è una questione di soldi, anche se la maggior parte lo suppone già, in larga misura. Sembra che, dopo aver avuto denaro sufficiente per soddisfare le nostre esigenze di base, non siamo felici: ci sentiamo solo come se avere ancora più denaro, potesse renderci felici.

La felicità non si trova nell’inseguire il piacere eccessivo o addirittura nel raggiungere la fama. Una ricerca incessante di attività o sostanze, sembra magnificare l’infelicità, piuttosto che alleviarla.

Vale la pena ricordare le parole di Alma: “La malvagità non fu mai felicità” (Alma 41:10). La fama, a meno che non provenga da un’attività significativa e con obiettivi meritevoli, suona davvero molto vuota.

Nel valutare tutta questa ricerca, ho concluso che ci sono tre elementi che contribuiscono alla felicità.

1. Controllo

L’elemento che viene messo in evidenza, nella classifica riguardante la felicità, è l’avere un certo controllo sulla propria vita. Sembra che gli esseri umani siano “cablati” in questo modo.

La ragione di tale cablaggio diventa evidente quando capiamo che questa opportunità di controllare il nostro comportamento e, quindi, in una certa misura, controllare l’esito delle nostre azioni, è la chiave di quel libero arbitrio, per il quale abbiamo combattuto in cielo.

Coloro che si sentono impotenti di scegliere e di agire si sentono senza speranza, una condizione che è l’antitesi della felicità.

Gli studi dimostrano che i bambini di età inferiore ai sei mesi sembrano più felici, sorridono il più delle volte e piangono meno, quando hanno un certo controllo sul loro ambiente.

Questo atteggiamento è stato misurato tramite l’attività che ha permesso loro di portare delle immagini su uno schermo, grazie ai loro movimenti. I bambini hanno imparato in fretta che i movimenti effettuati facevano apparire delle immagini e il loro piacere è diventato evidente ed è stato registrato.

Quando questa capacità di controllare il loro ambiente è stata loro tolta, erano più infelici. Anche quando qualcun altro faceva arrivare quelle stesse immagini sullo schermo per loro, i bambini non erano contenti. Dopo aver sperimentato questo controllo, sono stati infelici quando è stato loro tolto.

Un concetto che va di pari passo con quello del controllo è quello di legittimazione, ovvero il permesso dato a noi da altri, o da noi stessi, ad agire in modi che percepiamo come positivi e a nostro vantaggio.

Al centro della personalità di coloro che si descrivono come felici, vi è un senso di ottimismo e di fiducia in sé. Senza la fiducia in se stessi, senza la convinzione interiore che si possano fare meglio le cose, o che le cose funzionino, la depressione guadagna un punto d’appoggio.

Questa fiducia, avere questa fede in se stessi e nella propria capacità di fare o agire, è ancora più importante che avere competenze specifiche, a causa del potenziamento che tale credenza porta con sé. Quando la vita è percepita come buona, a quanto pare si può ricorrere a delle risorse nascoste e a delle capacità.

Le pareti dell’ufficio di mio padre erano ricoperte di detti. Da ragazza, amavo stare seduta sul mio sgabello speciale, memorizzare e riflettere sulla mia strada, in base a quanto mi comunicassero quei “detti”. Uno dei miei preferiti era: “Credere nelle tue abilità è molto affine con l’avere quelle abilità”.

Gli ho chiesto più e più volte di spiegarmelo. Con cura mi ha parlato, attraverso degli esempi, di come avrei potuto richiamare delle risorse interne, se solo avessi creduto che ci fossero. Se avessi creduto di poterlo fare e mi fossi comportata come avessi potuto farlo, avrei sviluppato le competenze per fare quello che volevo fare.

La mia prima esperienza, nel testare questa teoria, è stata quando, da ragazzina, l’ho accompagnato a fare un giro di lavoro e a vedere altre persone. Ci si aspettava da me che sapessi come salutare le persone e avessi qualcosa da dire. Sono stata trattata come una loro pari ed io mi sono comportata come una compagnia adeguata.

Anche se il mio era un carattere timido e molto riservato, nel corso del tempo sono stata in grado di uscire con lui, incontrare persone, agire come una loro collaboratrice, dimenticare le mie inadeguatezze e avere interesse in coloro che abbiamo incontrato. In un periodo di anni, ho scoperto che non solo potevo farlo, ma avevo anche piacere, nel fare queste esperienze.

Anche se sono ancora di natura molto riservata, ho trovato la capacità di “funzionare” in ambito pubblico, a causa di questa fiducia. Questo è il modo in cui funziona la legittimazione. E il più delle volte è l’individuo, piuttosto che la vita, che nega le proprie capacità e, quindi, limita la sua felicità.

2. Connessione

Le persone più felici, in questi studi, sono state quelle che hanno avuto fiducia in un potere più alto di loro. C’è stata una vera e propria correlazione tra la fede in Dio e la felicità personale espressa. Le persone raggruppate sotto questa convinzione, avevano un quadro chiaro della loro ragion d’essere e avevano accettato i principi in essa inerenti, come il loro codice di condotta, in cima alla scala della felicità.

Queste persone erano in grado di articolare la fonte della loro felicità e di guardare al futuro con speranza, anche durante i tempi desolanti. Questo è vero: noi che abbracciamo pienamente il Vangelo e la fiducia in esso e pratichiamo i suoi principi, siamo già diversi gradini in alto sulla scala della felicità, della gioia e della giustizia e siamo indissolubilmente collegati.

L’anziano Neal A. Maxwell ricorda: “Una ragione di rado citata per osservare i comandamenti è che diventiamo veramente più felici, con noi stessi. In caso contrario, se siamo infelici con noi stessi, la tendenza è quella di rimanere nella nostra miseria o, quanto meno, consentirgli di oscurare anche la vita degli altri, che devono avere a che fare con noi”.

Insieme ad un rapporto personale con Dio, gli stretti rapporti umani sono predittori assoluti di felicità e la mancanza di relazioni strette sono un predittore di infelicità. Vi è un intenso bisogno umano di avere nella nostra vita altri che amiamo, altri la cui gioie e dolori condividiamo e che condividono i nostri, gli altri da toccare, tenere, sperare e con cui lavorare.

Al di là di questo, vi è la necessità di essere impegnati in amicizie attive, di essere coinvolti in progetti condivisi e cause comuni. Coloro che sanno, ma non capiscono, dicono semplicemente: “L’uomo è un animale sociale”. Coloro che capiscono, sanno che gli strati della nostra necessità corrono così profondamente da una fonte così divina, che relegarli a mera socialità significa sminuire la propria natura.

3. Sfida

Infine, i ricercatori hanno scoperto che l’inattività è un fattore predittivo assoluto di infelicità. La nostra condotta quotidiana deve essere diretta a vivere un’attività significativa. Il lavoro e le benedizioni che lo accompagnano, sono un dono di Dio. Senza tale attività, non importa l’età, la depressione diventa un compagno costante.

Con l’attività e uno scopo diretto, persone di ogni età, dai più giovani ai più vecchi, hanno circa lo stesso grado di felicità. L’attività ideale fornisce una sfida, una speranza per la realizzazione e la sensazione di essere necessari.

Se avete familiarità con la vita del grande inventore Thomas Alva Edison, sapete quanto abbia lavorato per la maggior parte della sua vita. Nei primi anni, i suoi esperimenti non hanno avuto successo e il sostentamento era scarso.

Egli lo notava a stento, per quanto fosse totalmente assorbito nella sua sfida e nel perseguimento dei suoi sogni. La moglie credeva in lui e faceva del suo meglio per mantenere in vita una parte del vigneto, che dava scarsi frutti.

Negli anni successivi, con il successo ottenuto, la moglie gli volle regalare due settimane, per andare in qualunque parte volesse, nel mondo. Lui la ringraziò per un dono così bello, perchè aveva reso possibile che avesse due settimane indisturbate nel suo laboratorio!

Il lavoro non significa sempre frenetica attività. A volte, il lavoro più importante che si possa fare è un dondolo per un bambino, aiutare nella ricerca di un quadrifoglio, guardare un bambino che mostra la sua abilità sui pattini a rotelle, tenere la mano di un amico o di chi si ama, trovare la bellezza tra le nuvole di un cielo spazzato dal vento.

Il lavoro può anche darci tregua, dagli altri “incendi di raffinazione” che subiamo, nella vita. Beverly Sill, la grande cantante lirica e poi direttrice del Metropolitan Opera di New York, ha parlato della natura terapeutica del suo canto. Ha notato che, per tre ore, non aveva problemi, perché sapeva che tutto sarebbe rimasto fuori.

Sono venuta a sapere, poichè ho lavorato con la signora Sills in diverse occasioni, quali fossero i problemi a cui facesse riferimento. Questa donna glamour e di talento, dotata di una delle voci più gloriose del XX secolo, aveva desiderato dei bambini.

Non vedeva l’ora di poter cantare loro delle ninna nanne e condividere con loro le gioie e le bellezze del suo mondo della lirica. Eppure, un bambino nacque sordo, l’altro bambino gravemente ritardato. La vita è spesso piena di tali ironie.

So che le donne trovano uno sbocco terapeutico simile nella loro cucina, nelle decorazione, nella lettura o nella scrittura. Uno dei miei amici, dopo 15 ore al giorno, si trova spesso, alla luce delle lampade, a lavorare nel suo giardino straordinario.

Conosco una sorella di 90 anni, le cui mani non sono mai inattive. Lei trova rilassamento nel suo lavoro a maglia e nell’uncinetto, estremamente creativi, che dona ai bisognosi, ai senza tetto e ai neonati.

Legato al principio di attività, vi è il nostro senso del nostro sé superiore. La nostra condotta deve essere in sintonia con il nostro codice morale, in sintonia con quello che crediamo essere presente nel nostro nucleo.

La felicità viene più spesso, quando lo spirito e il corpo sono in sintonia. “Perchè l’uomo è spirito. Gli elementi sono eterni, e spirito ed elementi, inseparabilmente connessi, ricevono una pienezza di gioia” (DeA 93:33).

Viviamo in questo ambito, come spiriti eterni incarnati in tabernacoli mortali, e in possesso di un punto di vista evangelico: abbiamo tutte le ragioni per sperimentare la felicità assoluta.

Questo articolo è stato scritto da Beverly Campbell e pubblicato sul sito ldsliving.com. Questo articolo è stato tradotto da Cinzia Galasso.

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Anderson

Anderson lavora come senior manager a Milano. Si è laureato in Scienze Sociali e ha un master in International Business. Gli piacciono le relazioni internazionali, la tecnologia, leggere, viaggiare ed essere impegnato in progetti socialmente utili. Parla fluentemente il portoghese, italiano e inglese e vuole imparare il tedesco. Ha servito come missionario volontario ed è un membro attivo della Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni.

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